Il pensiero dell’Assistente (il Filo 2016/2017)

discorso-della-montagnaLe Beatitudini, questione di desideri

 

 

Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli.

Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:

«Beati i poveri in spirito,

perché di essi è il regno dei cieli.

Beati quelli che sono nel pianto,

perché saranno consolati.

Beati i miti,

perché avranno in eredità la terra.

Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,

perché saranno saziati.

Beati i misericordiosi,

perché troveranno misericordia.

Beati i puri di cuore,

perché vedranno Dio.

Beati gli operatori di pace,

perché saranno chiamati figli di Dio.

Beati i perseguitati per la giustizia,

perché di essi è il regno dei cieli.

Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi.

 

 

Saranno, avranno, troveranno, vedranno….ma quando?

Ogni volta che leggiamo questo brano – e quando, purtroppo, dobbiamo commentarlo – scivoliamo quasi sempre su questo interrogativo: quando questa sfilza di deboli vivranno il loro riscatto? E ci addentriamo in previsioni azzardate, lanciamo speranze in un futuro nemmeno intuibile o ci schiacciamo su una momentanea consolazione che già domani mattina potrebbe avverarsi, solo per farci tirare fino a sera. Ma l’incertezza regna sovrana: quando?

Riflettendo su questo brano conosciutissimo che ci accompagnerà per tutto l’anno associativo questa volta la potenza misteriosa della Parola mi ha costretto a fare i conti con un’altra domanda, non quando? ma come?

Tranne i poveri in spirito e i perseguitati per la giustizia, che già posseggono il Regno – tanto da pensare che questi siano sinonimi del Signore stesso – per gli altri si tratta di qualcosa che riceveranno, di un dono non di una ricompensa; il Regno apparirà come la realizzazione di un desiderio e non come il riconoscimento di un diritto. E la differenza è enorme.

Va di moda trasformare i desideri in diritti E’ un cammino iniziato tanto tempo fa, che ci ha portati al riconoscimento di diritti che non poggiano sulla reale situazione della persona, che è tale proprio nella sua reale condizione esistenziale – io non sarei io se togliessi tutti gli accidenti alla mia vita –  ma su un ideale concetto di umanità. Attenzione, questo cammino è stato importante, ci ha condotti all’abolizione di tante ingiustizie e al riconoscimento di tanti diritti che devono essere riconosciuti a tutte le persone, ma come al solito abbiamo esagerato e piano piano, ma inesorabilmente, abbiamo trasformato tutti i desideri in diritti. Ma le conseguenze ci sono, eccome.

Il diritto, se è tale, deve essere riconosciuto senza condizioni, “è mio diritto, devi soddisfarlo”; il riconoscimento del diritto può essere esigito, anche con forza; il diritto è qualcosa che mi è dovuto; il diritto ha una soluzione precisa, non ammette sorprese: il diritto è quello e deve essere soddisfatto in quel preciso modo.

Il desiderio invece è fragile, indica una povertà, ricorda che manchiamo di qualcosa che da soli non possiamo darci; il desiderio attende il riempimento, non lo esige, scruta lontano per individuare Colui che potrà soddisfarlo invece di produrre da sé la propria soddisfazione. Il desiderio è il nome del vuoto che può solo attendere il riempimento. Se il desiderio si compirà, avverrà come un dono e come ogni dono autentico potrà arrivare come nemmeno me lo aspetto, come una sorpresa, una meraviglia.

Non so quando nella mia debolezza e fragilità sarò consolato, qualcosa però mi dice che potrà accadere solo se sarò capace di custodire la mia povertà come un desiderio invece di vederla come una condanna della sorte.

 

settembre 2016

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